Bitcoin consuma piscine d'acqua per ogni transazione
Chi sperava di essersi liberato di Alex de Vries... sperava male. Il "ricercatore" ne piazza un altro dei suoi studi
Caro investitore,
gli studi di Alex de Vries, già autore di fantascientifici report sui consumi energetici di Bitcoin, andrebbero presi e gettati nell’umido, se non fosse che ogni volta vengono ripresi da tante testate, anche di una certa rilevanza.
Dopo essere stato sbugiardato su tutta la linea riguardo i consumi di energia elettrica e il conseguente impatto ambientale di Bitcoin sull’ambiente, il de Vries è tornato all’attacco da un nuovo angolo.
Bitcoin consuma acqua, gigalitri di acqua - e sarà presto responsabile per la desertificazione di intere aree del mondo. L’angolo era troppo ghiotto per essere ignorato dalla stampa mainstream, che dopo aver ricevuto (con ogni probabilità) un comunicato dallo stesso de Vries, ha prodotto articoli senza né capo né coda, che però qualcuno dovrà anche preoccuparsi di smentire.
L’ultima fatica di chi una fatica dovrebbe cercarsela
Scusaci i termini assai duri, ma di de Vries e delle sue mattane anti-Bitcoin abbiamo parlato già troppo, troppo a lungo e in troppi luoghi. Speravamo che nessuno lo avrebbe preso più sul serio, ma le occasioni che offre a certa stampa sono troppo ghiotte per essere ignorate.
Prima di iniziare nell’analisi di quanto ha pubblicato ieri: de Vries è l’autore di modelli che segnalavano, già qualche anno fa, consumi da parte del mining Bitcoin che sarebbero stati il totale della produzione energetica mondiale.
Basta guardarsi intorno per capire che non è così. Così come basta fermarsi a leggere per qualche minuto del funzionamento del mining Bitcoin per capire che il suo modello di consumo elettrico per transazione è una fesseria buona per gli allocchi che scrivono su certi giornali e per chi - non ce ne volere - continua a leggerli.
Sul tema non possiamo che consigliarti l’ottimo «I report sull’impatto ambientale di Bitcoin sono pattume», di Robert Sharatt, forse il più comprensibile anche a chi non ha grande dimestichezza con il mercato dell’energia e il suo funzionamento.
Ma torniamo all’acqua. Avverti una certa sete? Il fiume vicino casa non è più violento come un tempo? Potrebbe essere colpa sua, di Bitcoin. E di chi altrimenti?
Bitcoin consuma l’acqua di una piscina per ogni transazione
La tesi sostenuta è questa: Bitcoin, vuoi per il raffreddamento delle ASIC che macinano numeri, vuoi invece in termini di energia idroelettrica, consuma importanti quantità d’acqua.
L’acqua sarebbe consumata per i sistemi di raffreddamento (pur se in verità in larga parte viene poi scartata) e dalle centrali idroelettriche che i miner Bitcoin utilizza per approvvigionarsi di energia elettrica a basso costo.
In altre parole, Bitcoin è vittima almeno in parte del suo stesso cammino verso un utilizzo di fonti di energia rinnovabili: è la classica situazione dove non può andare bene nulla di quello che si fa: si brucia carbone? Male. Si passa all’idroelettrico? Stiamo sfruttando l’acqua.
Il punto, che ci teniamo a fissare in anticipo rispetto a qualunque altra digressione possibile, è che è chiaro che de Vries ha qualcosa di personale contro Bitcoin (e lo ammette per quanto per vie traverse tramite i giornalisti che ne riportano lo studio) e che dunque non ci sia nessuna soluzione per $BTC, se non una in particolare. Ma non è questo il momento di parlarne, lo faremo più avanti.
Cosa dice lo studio di de Vries
Che Bitcoin potrebbe (utilizza il condizionale) consumare per una singola transazione una quantità d’acqua che basterebbe per riempire una piscina. Il primo problema: la metrica "acqua consumata per transazione" non ha alcun senso perché è falsa tanto quanto quella che parla di "energia consumata per transazione". Il consumo arriva dai miner, che competono per attaccare il prossimo blocco alla timechain di Bitcoin. È una differenza importante, sulla quale invitiamo tutti a riflettere.
Il secondo problema: i dati che vengono prodotti da de Vries sono pieni di potrebbe, allora, se, che rendono l'intero impianto di accusa ridicolo a chi si dice sostenitore del metodo scientifico. Lo stesso de Vries ammette di non avere dati verificati e verificabili e pertanto di dover fare ricorso a modelli, che arrivano in questo caso da altri. Come sono andate le altre previsioni di de Vries? Male, molto male. I suoi modelli sono stati funzionali a sparate come Bitcoin utilizzerà tutta l'energia mondiale per il 2020. In altre parole, non ce ne voglia lo studioso olandese, pattume.
Il terzo problema: esiste quello che si chiama ciclo dell'acqua, che è familiare anche a chi ha superato con profitto soltanto le scuole elementari. L'acqua evaporata torna a terra sotto forma di precipitazioni. Si potrà obiettare che non è detto che torni nello stesso luogo, il che è vero, ma la cosa ci porta al quarto problema.
Il quarto problema: i miner utilizzano, soprattutto in luoghi dove l'acqua non è abbondante, sistemi di raffreddamento con liquidi specifici, che diventano più convenienti quando non si ha accesso ad acqua in abbondanza. In altre parole, in quelle aree che più soffrirebbero per l'eventuale sperpero di acqua.
I miner non sono perfetti e possono fare di più
I miner possono fare di più e almeno quelli più strutturati sembrano decisi a farlo. In aggiunta, ed è ormai notizia che circola anche su testate mainstream, stanno facendo molto per migliorare il mondo in cui viviamo.
Sono un business mobile e che dunque può installarsi dove c’è tanta energia non utilizzata o dove c’è bisogno di rendere profittevoli impianti a energia rinnovabile, cosa che fanno ormai da tempo.
In aggiunta, in molti stanno già utilizzando il gas di scarto dei giacimenti petroliferi, bruciandolo in modo più efficiente rispetto alle fiamme libere che forse tutti avranno visto in qualche video di repertorio.
Possono fare di più? Certamente sì, ma sul fatto che il mining sia stato una iattura per l’ambiente più di qualcuno inizia ad avere dei dubbi, parecchio solidi.
C’è sempre il solito trucco
Tutti gli articoli finiti sulle principali testate puntano poi in una direzione: ci sarebbe un modo, dicono loro, assai semplice per eliminare il problema alla radice per Bitcoin.
Servirebbe, dicono, le stesse decisioni che sono state prese da Ethereum. Il che vuol dire un passaggio a PoS, alla Proof of Stake. Parleremo in un’altra uscita del Magazine del perché questa sarebbe una pessima idea per Bitcoin.
Ci interessa sottolineare ciò che i giornali (e Greenpeace, che usa le stesse identiche parole dei giornalisti) ripetono a spron battuto: il problema è nella decentralizzazione della governance di Bitcoin. È difficile far passare idee così radicali quando non vi è un gruppo dirigente.
E vorremmo vedere, aggiungiamo noi. Questo è uno dei punti di forza assoluti di Bitcoin. E, aggiungiamo, tutti hanno il potere di forkare Bitcoin, renderlo PoS e fare tutto quello che vogliono con la base di codice per il loro progetto. Se gli altri non li seguiranno, non possiamo farne una colpa di Bitcoin, ma piuttosto riconoscerlo come merito di questo sistema monetario.
Le tempistiche “strane”
Prima di salutarci per questo numero del Magazine, non possiamo che sottolineare come le tempistiche di certe uscite siano assai sospette.
Vi lasciamo con una domanda: quante possibilità ci sono che escano a distanza di 1 minuto l’uno dall’altro degli articoli che sono pressoché identici? Articoli che invitano Bitcoin a passare a PoS nella stessa identica parte dell’articolo? Chi è che muove le fila di queste campagne?
Il muro della vergogna
Vale la pena citare chi si è gettato a capofitto nella questione. All’estero The Verge, ma anche BBC. In Italia guida il fronte AGI, e siamo sicuri che altri seguiranno.